Niente vaccino, niente lavoro.
A febbraio 2021 dieci sanitari, dipendenti di due case di riposo del Bellunese, erano stati sospesi dopo che avevano rifiutato il vaccino della Pfizer.
Sottoposti a visita, il medico del lavoro li aveva poi ritenuti “inidonei al servizio”, ragion per cui due case di riposo li avevano allontanati dal luogo di lavoro senza stipendio per “impossibilità di svolgere la mansione lavorativa prevista”.
A quel punto i dieci lavoratori hanno presentato ricorso avanti il Giudice del Lavoro e, contestata l’esistenza di un obbligo vaccinale, hanno chiesto di essere reitegrati a lavoro.
Il Tribunale di Belluno, però, pur senza mettere in dubbio la loro libertà di scelta vaccinale (tutelata dalla Costituzione), ha rigettato le loro istanze, giudicando che in questo caso prevalga l’obbligo del datore di lavoro di mettere in sicurezza gli altri dipendenti e tutti gli anziani ospiti delle strutture.
La libertà vaccinale dei singoli sembra quindi trovare il proprio limite avanti il diritto alla salute degli altri e della collettività.
La sentenza, prima in Italia, è certamente destinata a fare da pilota nell’ampio dibattito che si sta aprendo sulla questione e che sta investendo tutti i Tribunali d’Italia.
E’ anche vero che nella fattispecie, il Giudice del Lavoro ha spiegato di non poter diversamente collocare i dieci lavoratori all’interno delle due strutture sanitarie. Chissà però cosa avrebbe deciso se i lavoratori fossero stati alle dipendenze di una grande struttura come quella di un ospedale dove, per l’appunto, i lavoratori avrebbero potuto essere inseriti in altri reparti.
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